In ricordo di Cesare Pavese

  • 27 Agosto 2020
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Il 27 agosto 1950, a Torino, ci lasciava Cesare Pavese. Nato a Santo Stefano Belbo nel 1908, è stato uno scrittore, poeta e traduttore italiano.

Dopo la pubblicazione di Lavorare Stanca per la rivista Solaria, diretta da Alberto Carocci, nel 1936, inizia la sua collaborazione con la Casa Editrice Einaudi, fondata nel 1933 da Giulio Einaudi. Fu una presenza fissa all’interno della casa editrice dal 1 maggio 1938 al 1950, muovendosi tra Torino, Roma e Milano.

Per la stessa casa editrice curerà varie collane, tra cui la Collana Viola, che conterrà molti testi e saggi legati alla vita personale di Pavese. Inizialmente proposta da De Martino nel 1942, passò a Pavese nel ’45 ma uscirà ufficialente nel 1948 a causa dei problemi economici, politici e sociali legati al dopoguerra.

Cesare Pavese si occupò anche di traduzione, già ai tempi del liceo. Nel 1930 scrisse la sua tesi di laurea su Walt Whitman, laureandosi con punteggio 108/110 all’Università di Torino. Iniziò così la sua stagione di traduzioni americane, tra cui “Moby Dick” nel 1932 e “David Copperfield” nel 1938.

Con la casa editrice Einaudi pubblicò i suoi romanzi, tra cui ricordiamo “Prima che il gallo canti” nel 1948, “La bella estate” nel 1949, e “La luna e i falò” nel 1950.

Tra le poesie, la raccolta “Lavorare stanca”, la cui prima edizione fu pubblicata nel 1936.

Ed è proprio con una poesia tratta dall’edizione revisionata della raccolta Lavorare stanca, pubblicata nel 1943 con gli scritti dal 1936 al 1940, che vogliamo ricordare uno dei pilastri della letteratura italiana.

Parliamo di “Mattino“, scritta tra il 9 e il 18 agosto del 1940. La poesia è una dedica a Fernanda Pivano. Il vero titolo, infatti, sarebbe “Ritratto a F.“.

 

La finestra socchiusa contiene un volto
sopra il campo del mare. I capelli vaghi
accompagnano il tenero ritmo del mare.

Non ci sono ricordi su questo viso.
Solo un’ombra fuggevole, come di nube.
L’ombra è umida e dolce come la sabbia
di una cavità intatta, sotto il crepuscolo.
Non ci sono ricordi. Solo un sussurro
che è la voce del mare fatta ricordo.

Nel crepuscolo l’acqua molle dell’alba
che s’imbeve di luce, rischiara il viso.
Ogni giorno è un miracolo senza tempo,
sotto il sole: una luce salsa l’impregna
e un sapore di frutto marino vivo.

Non esiste ricordo su questo viso.
Non esiste parola che lo contenga
o accomuni alle cose passate. Ieri,
dalla breve finestra è svanito come
svanirà tra un istante, senza tristezza
nè parole umane, sul campo del mare.